Ma tu non la senti
La scorsa notte la voce nel condotto dell’aria mi ha detto Corri e io ho corso. Ho spalancato gli occhi e mi sono sollevata dal letto con la schiena rigida. Sono uscita senza mettermi le scarpe. Il terriccio all’esterno era freddo, freddo il marciapiede, freddo l’asfalto, fredda l’erba umida del parco. Non mi sono fermata neanche quando una scheggia di vetro si è infilata nella pianta del piede. Ho calpestato alcuni lombrichi e diversi mozziconi di sigaretta. In riva al laghetto artificiale mi sono arrestata di colpo perché il ronzio di un lampione mi stava parlando. Brava ragazza, diceva, Brava: adesso torna a casa. Ansimando ho guardato la notte che ingoiava ogni cosa, lo specchio d’acqua scuro e piattissimo. Ho visto tutto con una lucidità nuova, improvvisa.
Poi mi sono voltata e sono tornata indietro. Il cielo ha cominciato a schiarirsi gradualmente, variando dal nero al blu e dal blu al rosa. La luce era ancora sopportabile. Sui viali, stormi di uccelli cinguettavano tra le fronde, un suono acuto e penetrante. Ho scavalcato qualche staccionata per seguire un gatto maculato, poi lui è scappato via e io ho preso la direzione di casa. Ho varcato la soglia mentre il Sole faceva capolino dal monte. Sono andata in camera senza guardarmi attorno, gli occhi fissi sui miei piedi polverosi e insanguinati che salivano un gradino dopo l’altro. La voce nel condotto dell’aria mi ha detto Dormi e io mi sono addormentata.
Mi risveglio sul pavimento, senza che nessuno me lo abbia ordinato. Mi accorgo che è pomeriggio inoltrato dal fatto che la stanza è immersa in un calore asfissiante. In bagno svuoto la vescica e mi lavo i denti. Dalla bocca esce una bolla minuscola e trasparente che va a schiantarsi contro lo specchio. Mi siedo sul bordo della vasca e resto a fissare i miei alluci malconci, che si muovono come vermi senza che sia io a controllarli. La voce risale le tubature del lavandino come un fiume in piena. Quando arriva in superficie mi dice che non ho più le ossa. Mi accascio sul pavimento del bagno, dove resto immobilizzata. Sento i capelli crescere, gli occhi roteare nelle orbite. La carne molle preme contro le mattonelle fresche, che si scaldano piano piano a contatto con il mio corpo inutile. La stanza intorno si muove come se respirasse. Verso l’ora del tramonto la voce arriva dalla plafoniera e mi dice Brava ragazza, bravissima: adesso alzati. Mi sollevo come un serpente ammaestrato. In cucina preparo il caffè. La moka borbotta, mi avvicino con un orecchio per capire se sta cercando di dirmi qualcosa e mi ustiono il lobo. Bevo una tazza di caffè amaro e acquoso, mi vesto, infilo gli occhiali scuri ed esco. Non esco mai prima delle sette di sera, perché la voce mi ha detto che la luce mi fa male. In casa tengo sempre le tende tirate per restare in penombra. La luce elettrica non è un problema perché mi hanno staccato la corrente settimane fa.
In strada cammino svelta. Il modo in cui mi guarda una ragazza mi fa pensare di avere le labbra sporche di dentifricio rappreso. Apro la fotocamera interna del cellulare per controllarmi la faccia. È pulita. Al tabacchino compro due pacchetti di sigarette e un gratta e vinci. Gratto ma non vinco. Gioco alle slot machine seduta su uno scomodo sgabello in metallo. Infilo una moneta dopo l’altra per ore, finché non è notte. Allora il tabaccaio chiude e io esco senza togliermi gli occhiali da sole. In piazza c’è una folla folta, organizzata a gruppetti. La voce fischia per farmi andare in una direzione o in un’altra, il lobo mi fa male e sento che si sta formando una vescica. Quando mi avvicino a tre ragazzi seduti su una panchina, la voce mi dice Sei arrivata. Li saluto e bevo con loro, offro delle sigarette e loro mi lasciano fumare la loro erba. Sono tutti magrissimi e alti, sembrano fratelli. Beviamo e fumiamo per ore; arrivano delle ragazze e poi se ne vanno. La gente mi parla, ma non riesco a sentire niente perché il lobo mi brucia e la voce mi dice continuamente AttentaallaluceAttentaallaluce, sempre più forte.
A un tratto mi ritrovo in un bar, stiamo cantando una canzone al karaoke e io cingo la vita di una donna. La voce mi dice Baciala e io obbedisco. La donna mi porta in bagno e mi offre un tiro di coca. La sniffo sulla superficie del lavandino e la donna sta a guardarmi. Ha i denti brutti e il mascara colato. Fisso lo specchio, che riflette la luce fredda della plafoniera. La voce mi dice Ora e io spacco lo specchio a pugni, urlando. La donna indietreggia spaventata. Io sbavo e scappo con ancora addosso gli occhiali da sole.
In strada l’aria è fresca e tutto è completamente oscurato dalla notte senza Luna. Cammino lungo il marciapiede, sento le nocche bagnate di sangue, la scheggia nel piede e il lobo pulsare, ma la voce mi dice Brava ragazza. Allora salgo in macchina con un tipo biondo dal viso ovale. Durante il tragitto mi parla incessantemente di quello che ha bevuto e sniffato e io gli chiedo di offrirmene un po’. Tiriamo un altro po’ di coca e quando entriamo nel locale la musica fortissima mi rimbomba nell’orecchio marcio. Bevo un cocktail allo zenzero e fumo una sigaretta. Prima di spegnerla, ne accendo un’altra con la punta di quella che ho appena finito e vado avanti così per ore o giorni o minuti o chissà. La voce non mi parla più e non so cosa devo fare. Ho perso il ragazzo biondo, ma ne ho trovato uno che mi offre continuamente della speed e io accetto.
D’improvviso la stanza intorno a me sparisce, sento i rumori ovattati, come sott’acqua.
Mi riscuoto e sono nel bagno, il ragazzo della speed mi sta spogliando e io lo lascio fare, ma quando arriva agli occhiali la voce urla NOOO e non smette fino a quando non finisce anche lui, che si riveste in fretta e mi lascia lì, seduta sulla tavoletta del water, con le mutande alle caviglie.
Per un attimo il tempo rallenta, la voce tace e sento il mio corpo abbandonarsi, allontanarsi dalla notte, dalla voce, dalla coca e dai cocktail.
Esco solo quando la discoteca è semivuota. In strada la voce sibila ma non dice niente. Il sangue si è rappreso lungo le dita, le mie dita bianche, ossute e corte. Cammino senza una meta, una direzione vale l’altra. Perdo la nozione del tempo e mi accorgo d’un tratto che il Sole sta per spuntare. Il cielo a est è di un rosso intenso, spaventoso. L’azzurro si espande inesorabile.
La voce esce dalle crepe dei muri e mi dice Corri, l’unica salvezza è nel buio, la luce è vicina, non farti prendere.
Ma è troppo tardi. Il mio corpo, succube, pallido, indifeso, è già colpito dal sole. Mi lascio cadere senza far rumore. L’asfalto è butterato e grigio, immobile. Mi rannicchio come un animale nella sua tana. Chiudo gli occhi e la luce scompare.
Francesca Mattei ha studiato sociologia e vive in una piccola città al confine tra Toscana e Liguria. Alcuni dei suoi racconti sono apparsi su Verde Rivista, l’Elzeviro, Clean Rivista, SPLIT, Voce del Verbo, Narrandom, Malgrado le Mosche e nell’antologia “Vite sottopelle. Racconti sull’identità”, edita da Tuga Edizioni in collaborazione con la rivista Reader For Blind. A marzo 2021 verrà pubblicato per Pidgin Edizioni il suo primo libro, la raccolta di racconti “Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa”.
Su “Read and Play” è possibile ascoltare questo racconto letto da Cristina Cantiani. Fai clic qui per ascoltare l’audio-racconto.