IF
«Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo. Da quanto tempo non ti confessi?»
«Mi benedica padre, perché ho peccato. Si risponde così? Non ricordo. Non mi confesso da vent’anni, forse venticinque. È passato così tanto tempo.»
«Non preoccuparti, figliolo. L’importante è che sei tornato a parlare col Signore. Sono qui per te.»
«La ringrazio, padre. Da dove comincio?»
«Dall’inizio, figliolo, io non ho fretta. Immagino avrai molte cose da raccontarmi.»
«Be’, direi di sì. Allora, padre, questo non è il mio modo per chiedere scusa, non voglio giustificarmi. Cioè, voglio dire, le giustificazioni sono come le palle, ognuno ha le proprie, giusto? Chi è che lo diceva? Clint Eastwood? Cioè no, non voglio divagare, devo andare dritto al punto. E non voglio dire stronzate…»
«Il linguaggio, figliolo, non puoi esprimerti così.»
«Scusi, padre, non voglio raccontare bugie. Cioè, non mi pento di quello che ho fatto, d’altronde non ho fatto niente di male. O meglio non ho fatto male a nessuno, è un modo per attirare l’attenzione, anche se l’attenzione non l’attiro su di me. Non lo faccio per vedere la reazione dei proprietari. Non ho tutto quel tempo, non posso permettermi di aspettare. Ci possono volere delle ore, forse addirittura dei giorni. Lascio la mia firma, il mio segno, il mio simbolo. L’attenzione è per la mia firma. Io sono IF.»
«IF?»
«Sì, padre, IF. Forse ha letto di me. Ne ha parlato anche qualche giornale: il writer del metallo, il graffitaro delle lamiere, l’artista delle carrozzerie. Esco un paio di sere a settimana. Qualche volta a piedi, spesso prendo l’auto. Giro per la città, mi godo il fresco, fumo un paio di sigarette. E intanto mi guardo in giro, studio le mappe, scruto i parcheggi, cerco quella giusta. Quando la trovo, esamino la situazione, il contesto, la strada e i palazzi. Proprietario? Testimoni? Telecamere? Cerco di avere tutto sotto controllo. Non ho mai un modello in mente, non ho preferenze di sorta, mi lascio guidare dall’istinto. La scintilla scocca casualmente. Un SUV, un’utilitaria, una tre volumi; una volta ho scelto persino un pulmino. Per farlo uso una chiave che ho affilato a casa, con una lima.»
«Sfregi le auto?»
«Sfregiare non è il verbo che preferisco. Firmare va meglio. Firmo le auto. La firma perfetta non deve avere interruzioni. Non è importante dove: portiere, cofano, portabagagli. L’importante è che sia precisa e leggibile. Le assicuro, padre, non è facile. Bisogna imprimere forza, equilibrare pressione e gioco di polso. Insomma, ora non faccio per vantarmi, ma sono diventato proprio bravo.»
«Non c’è nulla di cui vantarsi, figliolo. Ti comporti da delinquente. Rovini le auto del tuo prossimo per una sorta di… come possiamo chiamarla? Gratificazione personale? Cosa ti spinge a farlo?»
«Quarantanove.»
«Come, scusa?»
«Quarantanove autovetture firmate da me. Da IF.»
«Quarantanove sono tante. Che vuol dire IF? Sono le tue iniziali?»
«Vuol sapere troppo, padre. IF è un simbolo. Voi cattolici dovreste essere competenti in fatto di simboli. La vostra croce è dappertutto.»
«Non bestemmiare, figliolo. La croce cristiana è, sì, un simbolo, ma di speranza e di accettazione della sofferenza di Cristo. Le tue due lettere cosa stanno a significare?»
«IF sono io. IF vuol dire SE, IF è la possibilità, è l’occasione, è il fato.»
«Sciocchezze. È vandalismo. E dobbiamo trovare una soluzione. Devi farti aiutare. Noi siamo qui, possiamo darti una mano.»
«No, padre, non ha capito. Io sono un profeta.»
«No, figliolo. Assieme possiamo farcela, puoi smettere di fare quello che fai. La confessione è un primo passo, ma devi fare opera di ravvedimento. Dal tuo tono di voce non scorgo pentimento, figliolo. Perché sei venuto? Perché hai deciso di confessarti?»
«Padre, questa volta il mio messaggio è più forte perché è impresso su di un altro simbolo. Sul vostro simbolo. Inciso nel ferro di Cristo.»
«Non ho capito. Che dici? Quale messaggio? Figliolo? Figliolo?»
Il sacerdote restò in ascolto qualche secondo, ma intuì subito che dall’altra parte della grata non c’era più nessuno. Si affacciò dal confessionale, spalancando le tendine di velluto scarlatto, e scrutò la chiesa deserta. Non percepì movimenti, a parte le fiammelle delle candele sotto la statua di san Pio. Era solo. IF era fuggito via.
Riprese fiato. Quella confessione lo aveva turbato. Ripensò alle ultime parole pronunciate dall’uomo, al loro significato: inciso nel ferro.
Scattò fuori dal confessionale, percorse di corsa la navata e si precipitò all’aperto, sul sagrato della chiesa. Alzò gli occhi al cielo e le vide: le due lettere, I e F, erano incise alla base della croce grande, sul portale della chiesa, sulla casa del Signore.
Flavio Ignelzi è nato a Benevento, ma vive a Caserta. Ha scritto di musica per “Salad Days Magazine”, su carta e sul web. È un amante della narrativa breve. Suoi racconti sono apparsi in “Verde Rivista”, “Cadillac”, “CrapulaClub”, “Spaghetti Writers”, “L’Inquieto”, “Carie”, “Squadernauti”, “Stanza 251”, “Lahar”, “Antimateria”, “Grado Zero” e in diverse antologie. Ha curato le tre raccolte “Oschi Loschi”, selezioni di narrativa sannita contemporanea. Ha esordito con il romanzo “Loro sono Caino” (Augh! Edizioni), a cui è seguita la raccolta di racconti “I punti in cui scavare” (Alessandro Polidoro Editore).