La lunga strada di sabbia (parte 4)
(Leggi la prima parte, la seconda parte e la terza parte)
Siracusa, luglio
La notte non riesco a dormire. Entro in una panetteria aperta fino a tardi. Prendo un caffè alla macchinetta e un dolce di pasta di zucchero e mandorle. Seduta a un tavolino c’è una ragazza giovane, i capelli ricci e neri, la pelle chiara. Esco per sedermi fuori e dopo un momento me la ritrovo davanti. Posa la borsa sulla sedia di fianco a me, mi chiede il permesso. Poi con le mani si raccoglie i capelli per legarli. Le chiedo se è di qui. Ha venticinque anni, fa la babysitter, ma sua sorella vive a Milano. Anche a lei piacerebbe andare a vivere a Milano. Sta aspettando il suo fidanzato che lavora al negozio. Le dico che mi piace il suo tatuaggio. Lei scosta la giacca e si scopre la spalla per farmi vedere l’altro. Dentro gli occhi neri lo sguardo è dolce, vivo ma quando arriva il fidanzato cambia espressione, sembra ritrarsi, nascondersi. Prende posto di fianco a lei senza salutarla, interrompe la conversazione. “Hai disturbato la ragazza?” la rimprovera. “Parli sempre troppo…”
Vorrei alzarmi e dirle: lascialo. Domani ti porto a Milano se vuoi, ma per l’amor del cielo, lascialo. Come lui ce ne saranno altri. Si innamoreranno di te, costruiranno un’immagine di quello che devi essere per sentirti amata, e tu diventerai quell’immagine, e quando non sarai più tu ma la proiezione del desiderio di un uomo, quella stessa immagine verrà sminuita, maltrattata, e poi buttata via in un soffio come una cosa senza valore. Per aver sorriso, per aver creduto nella parola amore verrai presa per una stupida. E per non essere stata abbastanza arrogante, per non aver voluto comandare o umiliare, verrai derisa e umiliata. Ma non dico niente.
Mi salutano e si allontanano nella notte. Le luci della panetteria si spengono, la saracinesca si abbassa. Torno a dormire.
Lasciando Stromboli, luglio
La nave si allontana, lentamente lasciamo l’isola. Dal ponte, le luci basse del paese, come una schiuma d’oro, e sopra, nell’oscurità, la sagoma del vulcano disegnata dalla luna. Una panchina, un vento leggero, il movimento quasi illusorio della nave nel vuoto del mare aperto. Il vulcano esplode nella notte. Una fiamma rossa si sgretola, piccole stelle di fuoco che brillano per un istante e poi si spengono nel cielo nero. La bocca del vulcano si illumina per un momento, poi tace. Sdraiati sul metallo freddo, le tue mani cercano le mie. Contro la luce accecante del faro di prua, verso la notte, le mani strette il vento, la luce sfocata, il tuo volto nell’ombra, il ponte deserto…
Tamburi, agosto
Seppelliscimi vicino al mare così quando vieni a fare il bagno mi porti i fiori… Mentre scrivo, il rumore di un ventilatore a soffitto, sulla scrivania una busta di carta, quello che è rimasto di te. Vagavo per le strade di Tamburi nella notte, il rumore della fabbrica… Nella chiesa appena illuminata una donna lavava il pavimento, era sola, dietro di lei un enorme mosaico di pietre d’oro, un Gesù gigantesco campeggiava sopra l’autostrada, sopra le ciminiere della fabbrica. “Salute e lavoro e…” non ricordo cosa dicesse il cartello all’entrata della chiesa… Tu sei scomparso…Come ogni casa, prato, parco giochi, marciapiede, ogni pianta, anche il cimitero è ricoperto da una polvere rosa sottile, come rame ossidato. I ragazzi manifestavano contro il fascismo, ma servirebbe un’altra parola… Vago per le strade di Tamburi nella notte, un rumore di sottofondo, l’autostrada…
Saturo, agosto
Cammino attraverso il canneto, dietro le rovine del tempio greco…Finocchio selvatico, rovi di more, lumache arrostite dal sole, due o tre cani randagi, le creature sanguinanti che sopravvivono in tutti gli angoli più miseri del pianeta…L’acqua è azzurra, chiara sulla sabbia, scura sulla roccia, verderame sotto le pietre nere di ricci, grossi e lucidi. E il profumo, denso,
come se il mare fosse aria, si potesse respirare. Così che quando si è qui seduti come sono io ora sulla roccia, nel vento, il mare ti rimane addosso e ti entra nelle narici e nei polmoni, fino alle arterie. E anche a piangere, se a uno venisse voglia, gli uscirebbe dagli occhi.
Da Bari a Foggia, agosto
Ho passato il confine più a sud del mio viaggio, davanti a me è il ritorno…ma verso cosa? Attraverso la costa di notte, lungo il litorale, i lampioni segnano il limite del mare che rimane al di là della strada, invisibile nell’oscurità. Dall’altro lato, periferie sterminate, masserie abbandonate, case, baracche, ghetti abusivi… Stranieri che da paesi lontani verranno con il desiderio di futuro, di libertà, mentre ciò che hanno lasciato alle spalle scomparirà per sempre. La frontiera è circondata dal buio, una terra di mezzo senza vita.
Questa mattina ero nella casa dove sono stata bambina. La donna che vive qui ora, una signora bionda con gli occhi verdi mi offre un bicchiere d’acqua. Mi parla, ma non faccio attenzione. Conosco ogni anfratto, ogni crepa di queste stanze; dove batte il sole, dov’è fresco, dov’è silenzio. Le mura sono bianche, spesse, i pavimenti di mattonelle chiare, le sale grandi. C’è odore di legno, di pietra, di mandorle tostate. Fuori nel giardino, dietro una siepe di gelsomini, un rovo di rose, dalle finestre il profumo arriva fino alla casa. E come il pesce disse al fiume, come l’uccello al cielo, la rosa dice alla terra, se mi lasci muoio.
Alla stazione mi abbracci così forte da farmi male. Tra una settimana, domani, tra un’ora ti vedrò di nuovo. Mi baci finché non si chiudono le porte del treno. È il tuo volto che sorride, è il tuo braccio che mi saluta, ma sono già lontana…
Pescara, agosto
La testa poggiata sul finestrino del treno, inizio a sentire un po’ di caldo, tengo la mano sul libro aperto, ma non riesco a leggere, ferma da mezz’ora sulla stessa pagina, e allora cerco di concentrarmi con la coda degli occhi sui trabocchi, le palafitte disseminate lungo questa parte di litorale, ma sento solo un bruciore tra le gambe, e penso che avrei voglia di accendere una sigaretta, di essere nuda e stanca, poi iniziano a bruciarmi gli occhi come se stessi per piangere, e ho ancora più caldo, il treno continua a correre sulla costa addormentata, non c’è niente nel paesaggio che potrebbe anche lontanamente turbarmi, e allora sporco con un po’ di inchiostro la pagina di carta, ma non è abbastanza, così prendo il telefono e quando metto giù, il treno è arrivato alla stazione, e penso che ho perso per sempre quelle palafitte, che avrei dovuto guardarle meglio e mi sono sfuggite, che mi sarei dovuta fermare, invece di andare così veloce, tornare indietro, cambiare la mia vita, ma non l’ho fatto, scendo dal treno, attraverso la strada e sono a Pescara, una striscia piatta di case sul mare. Pescara è davvero una città balneare, tutto ciò che è attorno è secondario, i bar, i bagni, le file di ombrelloni blu mossi dal vento, le bugie, i tradimenti, i luna park, le stanze d’albergo, le sdraio chiuse, i ragazzi nell’acqua fino a tardi, camminare sulla sabbia sapendo che non verrai, fermarsi a bere un caffè da qualche parte, i gabbiani, le luci di quei giocattoli che tirano nel cielo e poi ricadono a terra tra i bambini che li inseguono, litigano, se li prendono dalle mani, e continuare a camminare fino alla fine del giorno, scivolando tra la folla silenziosa di un lungomare, un ponte come un fulmine viola nella notte.
Verso Nord
Fuori dal finestrino del treno il paesaggio cambia. Le colline si assottigliano nella foschia. Il treno viaggia come sospeso tra mare e laguna, le paludi riflettono le nuvole, dietro gli argini la sabbia diventa prato. Inizia a piovere ed entro nel primo caffè che vedo vicino alla stazione. Un uomo cinese seduto dietro il bancone parla al telefono. Una teca di croissant, biscotti alla marmellata vecchi di giorni, brillano spettrali sotto la luce al neon.
Fuori dal caffè la pioggia continua a cadere sulle tegole rosse, sugli alberi, sull’asfalto caldo, il calore si trasforma in fumo…Nello specchio riflesso l’immagine di una ragazza, gli occhi appena gonfi per qualche ora di sonno persa. In un altro tempo la ragazza ha perso conoscenza. Era una notte d’estate, si vedevano le stelle, una visione rara nella città che era sempre accesa, come un incendio che nessuna epoca sarebbe stata in grado di spegnere. La prima perdita, la prima ferita…
Quella notte come ebbi modo di constatare nello specchio del bagno dell’ospedale, sotto la pelle della mia testa, là dove si era aperta, tra i rivoli di sangue che coprivano per metà il mio viso, era un osso bianco. Ricordo che non provai paura, l’immagine di fronte ai miei occhi non mi spaventava. Qualcun altro al posto mio forse si sarebbe rifiutato di guardare, avrebbe chiuso gli occhi come si fa al cinema durante la scena truculenta di un film. Ma la mia ferita è sempre esistita, è sempre stata lì, da prima che comparisse sulla mia fronte. È un occhio da cui il mondo passa come un filo la cruna di un ago che attraversa il tessuto dei giorni per cucirne le trame, fissare i punti di un tempo lacerato. Osso bianco, cuore bianco…
E come il pesce disse al fiume, come l’uccello al cielo, la rosa alla terra, l’amante all’amato…
Venezia, agosto
È passato e mi ha sorriso…Le navi come frecce attraversano la laguna, il mare tagliato dai motori si increspa, le onde sbattono contro se stesse, cambiano direzione, tornano indietro… Il traffico navale erode le fondamenta della città, è una frase che ho letto su un cartello… i volti si susseguono come mazzi di carte… L’ho letto su un cartello sotto un portico, mentre camminavo, c’era una ragazza che cantava una canzone…
Trieste, agosto
Arrivo a Trieste nella pioggia gonfia di un cielo metà assolato, metà coperto da nuvole sfatte, lontane. Sul molo mi fermo a comprare una cartolina in un piccolo chiosco in mezzo al porto. È una casetta di legno, una vetrina piena di conchiglie, souvenir, bolle di vetro, piccole vele di stoffa colorata. Una donna anziana avvolta in un cappottino rosso mi racconta che un tempo aveva un negozio, un alimentari e con il dito mi indica la città. “Come sono caduta in basso,” mi dice, ma lo dice sorridendo, senza astio, con ironia.
I bagni pubblici di Trieste stanno per chiudere, ma riesco a convincere il bagnino a lasciarmi passare. Sono in un’umile spiaggetta di sassi divisa da un muretto bianco e blu, da una parte gli uomini dall’altra le donne. Il mare è liscio, freddo, quasi lago. Nuoto nel grigio scuro dell’acqua, sotto il ponte di legno. Poi il sole si scioglie sull’orizzonte, si allarga fino a diventare cielo, e nessuno si accorge di me che rimango lì sdraiata, sola, sotto la luce delle prime stelle.
Francesca Coppola è scrittrice e filmmaker. I suoi testi sono stati pubblicati su BOMB Magazine, NY Tyrant, Fence, FU Review Berlin e altre riviste. Ha pubblicato un libro di poesie (Where the Sirens Live, 2019). Vive a Roma.