Peli
(Racconto tratto dal magazine New York Tyrant di Tyrant Books. Traduzione dall’inglese di Eva Angelini.)
Ne provavano vergogna, tuttavia non riuscivano a resistere. Passata qualche notte, il tempo necessario perché i minuscoli peli crescessero sulla sua faccia e sul collo, si posizionavano in bagno e mettevano in atto il rituale. Ogni strappo era accompagnato da un piccolo fremito di sollievo.
«Riesci a prendere quelli più spessi?» Lui amava la percezione dei bulbi e delle radici viscose che venivano estratti, peculiare ed elettrizzante.
«Puoi lasciar fare a me?» Lei preferiva quelli più reticenti semisepolti sotto il primo strato di pelle. Tirare prematuramente fuori un pelo destinato a incarnirsi. Era speciale, per lei.
Per gli altri – al lavoro, in fila per la spesa, quando andava a prendere il figlio all’asilo – lui era come un qualunque altro uomo ben rasato, se non per qualche macchia rossa che altri prendevano per abrasioni da rasoio e non per pori irritati e leggermente infiammati che gli punteggiavano tutto il collo.
Aveva sviluppato questa compulsione al college. All’epoca, la sua verginità gli provocava una pesante ansia e non solo per il suo stigma sociale, ma anche per i meccanismi del rapporto sessuale. Passava la maggior parte delle sue serate nel sotterraneo della libreria e tirava via, a uno a uno, con un’impressionante efficienza, quasi tutti i capelli ai lati della sua testa, lasciando intatta la parte superiore così da lasciare a quelli più lunghi la possibilità di ricadere ai lati e coprire la sua afflizione. Come un riporto al contrario.
La questione della verginità si era risolta da sola, infine, così come qualche relazione, per rimanerne solo in una, poi il matrimonio e adesso i figli.
«Papi,» disse il bambino.
«Sì,» rispose il padre, asciugando il sedere del figlio con l’asciugacapelli della moglie. «Sono il tuo papi.»
Sfiorò il capo di suo figlio, con la gentilezza con cui si valuta un avocado maturo, lisciando ogni capello nella direzione in cui cresceva.
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