Assassini di gatti
(Traduzione dall’inglese di Fabio Zantomio.)
Volevano uccidere i loro gatti, ma c’era il problema del trasporto. Mi invitarono a cena per pregarmi di portare loro e i loro gatti in auto ai margini della città in modo che loro, gli assassini di gatti, potessero uccidere i loro gatti. Non c’era bisogno che io partecipassi alla strage, dissero, a parte guidare, né che guardassi mentre uccidevano i gatti. Probabilmente era meglio che qualcuno restasse in auto e tenesse il motore acceso, dissero. Non sapevano che leggi esistessero a proposito delle persone e dei loro gatti, riguardo a ciò che le persone potevano infliggere, legalmente parlando, ai propri gatti. Tuttavia, credevano che ci fossero leggi e statuti e ordinanze, volumi e volumi di legalità sui felini e le loro accettabili modalità di decesso, dissero. Leggi e statuti e ordinanze che, mi informarono, erano pronti a infrangere.
Non avevo granché voglia di cimentarmi nell’uccisione di gatti, ma tutto ciò che dovevo fare era guidare. Non dovevo uccidere i gatti. Così gli dissi che sì, li avrei accompagnati, sì, in segno di amicizia, a condizione che pagassero la benzina. Risposero va bene, l’avrebbero pagata, e mi presentarono i loro gatti. Checkers, la madre, Oreo, la gattina, e Champ, il gattino. Si scusarono per i nomi banali, per quanto sapendo ciò che sapevo su quei gatti non fossi esattamente nella posizione di stabilire un rapporto. Avrei preferito non sapere i loro nomi. Meglio che rimanessero per me “i gatti.” Ero solo quello che guidava: l’unica cosa che sapevo, se qualcuno mi avesse interrogato, era la strada per andare e quella per tornare, nulla di ciò che era avvenuto sul posto. Ma loro insistettero nel dirmi i nomi, e dopo avermeli detti insistettero nello scusarsi, dicendomi che i nomi dei gatti non erano nomi che loro personalmente avrebbero scelto, ma erano, insistettero purtroppo nel dirmi, i nomi che i loro figli avevano scelto.
L’uomo aprì l’armadio in corridoio e vi frugò finché non tirò fuori un fucile e dei mucchi di stracci rigidi e sporchi. Strofinò il fucile con gli stracci. Lo lucidò e, dopo avermi adocchiato dal buco della canna, me lo porse.
«Che dici, può andare?» chiese.
Strinsi il fucile per un attimo per dovere di cortesia, poi glielo restituii. Dissi che sì, poteva andare.
L’uomo puntò il fucile verso il tavolo della sala da pranzo, dicendomi che a volte, quando vedeva i gatti arrampicarcisi per leccare i piatti, voleva “spazzare via quei corpi pelosi dalla tavola.” Voleva “far saltare i gatti” da parecchio tempo, disse, Checkers in particolare, disse, ma Oreo e Champ non facevano eccezione. Quella era la sera giusta, affermò. Puntò il fucile e fece un verso perché fosse chiaro ciò che intendeva.
Guardai la donna aggirarsi in punta di piedi e fare capolino dalle porte lungo il corridoio. Tornò in cucino e iniziò a radunare i gatti.
«Dormono come angioletti,» disse. «Possiamo andare.»
«Pallottole, tesoro?» disse l’uomo.
«Sinceramente, caro, non ne ho proprio idea,» disse la donna.
L’uomo tornò verso l’armadio in corridoio. Lo aprì, si inginocchiò, ci infilò dentro le mani. Buttò fuori della roba. Buttò fuori chiavi metriche e barattoli pieni di pesche sciroppate, racchette da sci e giacche invernali e sciarpe aggrovigliate, soldi del Monopoli e tubetti di colla e un bicchiere incrostato di latte. Riemerse con una scatola di plastica delle dimensioni di un pugno.
«Ci arrivano i bambini?» disse l’uomo, tenendo la scatola aperta a testa in giù e scuotendola.
«Mi pagano per controllarli?» disse la donna. «Ma insomma!»
Sono in salvo, stavo pensando.
Non i gatti, ma io stesso. Mi importava delle sorti dei gatti solo fino al punto in cui l’evento riguardava me. Non che abbia niente contro i gatti, ma le persone pagano bene per i loro animali domestici. Hanno diritto di fare quello che vogliono, basta che me ne lasciano fuori.
«Forse al negozio di ferramenta?» disse la donna, guardandosi l’orologio al polso. «O magari Carl.»
«Charles? Jenkins, vuoi dire? Il vecchio Chuck Jenkins?» disse l’uomo.
L’uomo guardò i gatti, sputò sul tappeto irsuto.
«Gatti come questi non valgono lo spreco di piombo,» disse. «Questi tre son da buttare in discarica.»
L’uomo domandò cosa pensavo dell’idea, l’idea di abbandonarli, visto che l’auto era la mia, ero io quello che avrebbe preso la multa se le cose fossero andate storte. Purché lui pagasse la benzina e li abbandonasse lui stesso, risposi, io ero con lui.
Se ne stavano sui sedili posteriori ad accarezzare i gatti, le loro facce si illuminavano al ritmo dei lampioni di passaggio. La moglie suggerì che sarebbe stato un gesto carino dare prima a ogni gatto un colpo ben assestato col fucile, dal lato dell’impugnatura, per essere più sicuri. Sarebbe stata la cosa più compassionevole, pensava.
Gli chiesi per favore di aspettare che fossimo sulla statale. Non c’era bisogno di avere fretta.
Erano in tre, mi dissero, tre gatti, contando i cuccioli come gatti. Dissero che non potevano fare a meno di notare che anche noi eravamo in tre, calcolando anche me.
Dissi che no, non c’era bisogno di contarmi, nessun problema, non c’è di che, ma grazie, grazie lo stesso, apprezzo molto l’offerta, grazie per avermelo chiesto.
I gatti stridettero come motoseghe quando colpirono l’asfalto. Osservai nello specchietto l’uomo e la donna lasciarli cadere. Continuai a osservare anche dopo, mentre guardavano fuori dal finestrino posteriore.
«Ops,» disse l’uomo. «Oh, no.»
«Che?» dissi.
«Niente,» disse l’uomo.
«Terribile,» disse la donna.
«Che disastro,» disse l’uomo.
«Avremmo dovuto dargli prima quella botta,» disse la donna, alzando il fucile.
L’uomo si sporse in avanti, mise una mano sulla mia spalla. Avvicinò la bocca al mio orecchio. Avvertii l’alito caldo.
«Torna indietro e finiscili, amico,» disse.
«È un gesto di carità,» disse la donna.
«Riporta lì quest’affare,» disse l’uomo.
Nello specchietto osservai ciò che potevo vedere della sua faccia accanto alla mia. Restò immobile, senza parlare, mentre la luce dei lampioni entrava e usciva dall’auto.
Continuai a guidare.
«Comportati da amico,» disse. Prese il fucile scarico da sua moglie senza togliermi il fiato dal collo. «Punta alla testa.»
Brian Evenson insegna scrittura creativa e traduce dal francese. Ha pubblicato più di venti libri fra romanzi, racconti e non-fiction, che gli sono valsi tra gli altri un O. Henry Award e una Guggenheim Fellowship. La sua opera più recente, Song for the unraveling of the world (Coffee House Press, 2019) ha vinto lo Shirley Jackson Award per la migliore raccolta di racconti. Killing Cats è apparso nella raccolta Altmann’s Tongue (Knopf, 1994).