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Quando le parole s’infilano nella mia testa - Francesca Chiappalone - SPLIT

Quando le parole s’infilano nella mia testa

Mi è sempre piaciuto tornare a casa a piedi. La sera, quando finisco di lavorare, chiudo le luci, abbasso la saracinesca e mi fermo cento metri più avanti, da Costanzo, dove mangio qualcosa. Se c’è almeno una faccia amica decidiamo insieme quanto siamo sciupati, calcoliamo quanta giovinezza è stata portata via dall’ultima giornata lavorativa e poi via, verso casa.

Non importa che duri mezz’ora il tragitto, mentre avanzo faccio una lista, penso alle cose successe in quella manciata di ore, penso alle parole che sono rimaste infilate nella testa passando attraverso i libri, le persone, le mail, i messaggi. Una richiesta, un saluto, la domanda di un amico, qualcosa da firmare, qualcosa da prestare, quello che diciamo a chi conosciamo e a chi non conosceremo mai. Quante parole passano nell’arco di una giornata? Quante restano? Non sempre sono parole belle, ma è così che funziona.

Qualche sera fa però non volevo camminare, non volevo mangiare, non volevo vedere il sorriso di Costanzo. Non volevo vedere nulla in realtà, mi sarebbe bastato essere qualcosa che nessuno nota, un sampietrino, un mozzicone, uno di quei paletti di ferro che delimitano il contorno dei marciapiedi.

Nella testa era rimasta infilata una parola difficile, conosciuta, poco digeribile, e non aveva importanza da che cosa fosse stata portata, se da un viso, da una musica o dal postino, quel pomeriggio, poco prima dell’arrivo della sera, perdere mi s’infilò nel cervello, ed è così che funziona.

Perdere è un verbo molto elastico, lo metti accanto alle chiavi, agli amici, a una partita di calcio e funziona benissimo. E quanti modi ha di presentarsi nelle nostre esistenze, si fa vedere in diverse posizioni, sempre a sorpresa, e forse ci prende anche un po’ in giro mentre speriamo che non sia davvero quello che sembra. Restare privo, non avere più, abbandonare, rimetterci, lasciare, sfuggire, sprecare, scialacquare, dissipare. “Lasciare uscire” mi piace, è interessante, come se ci fosse una porta da qualche parte, e io non ne ero al corrente, essere sconfitto, vinto, battuto, ma guai a pensare di essere la vittima perché poi c’è anche rovinare, danneggiare, screditare, scendere, e anche qua la cosa si fa interessante, chissà com’è questa rampa di scale che conduce alla perdita, saranno scomodi i gradini o così comodi da portarci fino agli inferi per poterci ritrovare. C’è comunque ancora di meglio, arrivano smarrirsi, confondersi, scoraggiarsi, svanire, dileguarsi, dissolversi, disperdersi, svaporare.

Mi piacerebbe svaporare, ecco una cosa che pensavo mentre andavo avanti per strada quella sera, diventare una scia di niente lungo questo corso, con tutti i lampioni che tentano inutilmente di illuminarmi. Lo so che la serata lo desiderava, era una bella serata e voleva spassarsela. L’aria era ancora calda, c’era quel residuo d’estate rincorso da tutti, prima che prendano posto cappotti e termosifoni. C’erano sicuramente delle stelle anche se non si vedevano, la gente camminava come me, qualcuno si teneva per mano, dei passeggini cigolavano, qualche fidanzato non stava attento a dove metteva i piedi perché la bella serata pretendeva anche un sacco di baci.

E come glielo dici a una serata così che tu non la vuoi?

Come glielo spieghi che ci si può smarrire come una monetina e che il fatto che sia ancora estate e che si potrebbe ballare, e ridere, a te fa lo stesso effetto di un dolore intercostale?

Un passo alla volta elencavo le tante facce del perdere e forse la lista avrebbe potuto anche aiutarmi, ma le vie del centro erano così animate, così piene di quella gioia che non ha motivo di presenziare. Perché è facile amare certe strade, ma basta della bossa nova nel momento sbagliato per trasformarle in terra nemica.

Poi, proprio nel momento in cui mi congratulavo con la mia capacità di sopportazione, ho sentito un tocco, sulla spalla, e qualcuno che mi ha detto Che faccia amico, dai, pensa a divertirti!

Certo, come ho fatto a non pensarci? Pensa a divertirti, segui il ritmo, brinda, ammicca, saltella di bancone in bancone. Arrampicati lungo una di quelle bretelline che hanno le ragazze, scegli un vestito a caso e arrampicati, sculetta un po’ e se riesci raggiungi il tizio che ti ha regalato quel prezioso consiglio e offrigli da bere, che diamine, quanto sono stupido a non aver pensato che potevo divertirmi!

Quelle persone non desideravano svanire, neanche se lo immaginavano che da qualche parte, sotto i nostri piedi, esiste una scala che attraversa l’oscurità e ci conduce alle cose perse, se ne fregavano delle porte che lasciano uscire ma non lasciano entrare. Era ancora estate per tutti loro, volevano le luci, le gambe nude, l’allegria, mentre io volevo il freddo, il ghiaccio, volevo che tutti battessero i denti intirizziti, da qualunque parte ma non lì.

Allora ho chiuso occhi e pugni e ho cominciato a gridare. Non potevo svaporare ma potevo almeno sfogarmi. Mentre i muscoli si allungavano, il vento si agitava dentro la mia testa, muovendo i fogli sui quali si erano fermate tante parole. Era come se avessi avuto le pareti del cervello piene di fogli appuntati e i miei polmoni non ce la facessero più.

È stato solo dopo un paio di minuti che me ne sono reso conto, ho alzato gli occhi e intorno a me non ho visto quasi nulla. Era scesa una nebbia densa e sembrava che la temperatura si fosse abbassata di diversi gradi, si sentivano persino dei tuoni, da qualche parte, l’unica cosa per la quale poteva essere il caso di usare il concetto di vicinanza, perché tutto, lo giuro, sembrava scomparso.

Sono tornato a casa sollevato, quasi felice, con la punta dei piedi gelata e senza perdite nella testa.






Francesca Chiappalone è nata a Tropea nel 1982, ha studiato a Bologna e vive a Perugia. Si è avvicinata all’editoria grazie all’esperienza con Aguaplano Libri e Intermezzi Editore, ha conseguito un Dottorato di ricerca presso l’Università per Stranieri di Perugia e nel frattempo ha lavorato nella comunicazione e negli eventi culturali. Dal 2017 fa la libraia da “Mannaggia – Libri da un altro mondo”, libreria indipendente nel centro storico di Perugia. Tra gli interessi: la cioccolata, il vino, le serie tv, leggere, scrivere, parlare di libri con le persone e poi convincerle a leggere quello che dice lei (ma le piace molto anche farsi convincere).

Quando le parole s’infilano nella mia testa - Francesca Chiappalone - SPLIT
“Quando le parole s’infilano nella mia testa”, un racconto di Francesca Chiappalone per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni