Rabbia stradale
(Tratto dal magazine di Tyrant Books, traduzione di Stefano Pirone)
Stavo facendo molti progressi con la mia rabbia stradale. Un giorno io e Chris stavamo tornando dal negozio e non avevo ancora detto a nessuno “Stronzo” o “Guarda quello stupido figlio di puttana” o “Cazzo, datti una mossa, amico.” Non mostravo il dito medio a nessuno né scuotevo i pugni né parlavo di quanto l’intero pianeta avesse bisogno di una nuova estinzione. “Chi se ne frega di salvare la Terra. Credevo che lo scopo della vita fosse distruggerla.” Non facevo generalizzazioni indiscriminate su interi gruppi di persone né urlavo roba folle. Ovviamente, Chris di solito non mi lasciava guidare quando andavamo da qualche parte, ma quel giorno sembrava aver notato quanto fossi calmo. Gli raccontai dell’ultima volta che andai fuori di testa nel parcheggio di un Kroger. Una donna cercava di infilarsi davanti alla mia auto in fila e io non la lasciavo fare. Lei urlava e mi mandava a fare in culo. Stavo guidando la macchina di Julia con la targa della California. La donna si sporse dal finestrino e gridò, «Brutto frocetto californiano.» Chris rise e io aggiunsi, «Sì e quel che è peggio è che indossavo una maglietta camouflage. Scommetto che era la prima volta che qualcuno con indosso una maglietta camouflage veniva chiamato “frocetto californiano”.»
Continuai a guidare e dissi, «Maledetti bifolchi.» Chris voltò gli occhi fuori al finestrino e proseguimmo. A volte sembrava che le cose andassero lisce e che il mondo fosse in ordine. Altre volte sembrava che il mondo non avesse equilibrio e che qualsiasi cosa mi infastidisse. Bastava che uscissi troppo tardi o che non riuscissi a trovare le chiavi, e questi piccoli turbamenti davano inizio a una serie di eventi che portavano a rabbia cieca. Ma quel giorno sembrava che le cose andassero bene. Qualcuno mise tardi la freccia e io non suonai il clacson. Mi limitai a frenare e a starmene zitto. Poi ci fermammo a un semaforo e aspettammo e aspettammo. Quando si illuminò il verde non urlai immediatamente, “Cazzo, amico, muoviti.” Attesi finché il tizio nell’auto davanti finalmente non alzò gli occhi al semaforo e partì. Continuai a guidare e un grosso furgone blu spuntò fuori da un distributore di benzina e si infilò proprio davanti a noi. «Merda,» dissi, ma non urlai.
Raccontai a Chris di quando l’anno prima dei tizi mi puntarono una pistola contro. Erano in un grosso pick-up coperto di adesivi della Friends of Coal e guidavano attaccati al mio culo. Continuavano a dare gas e ad avvicinarsi, così decisi di fargliela vedere rallentando sempre più. Scesi a 60 chilometri all’ora e poi a 50 e poi a 40 e a 30. Infine, arrivai a strisciare come una lumaca a 15 chilometri all’ora. Guardai nello specchietto retrovisore e li vidi che scuotevano i pugni verso di me e poi cominciarono a sbandare a sinistra e a destra cercando di sorpassarmi. Alzai il dito medio e allora li vidi andare fuori di testa. Poco dopo, le due corsie diventarono quattro e i bifolchi si affiancarono alla mia auto e uno di loro tirò fuori una pistola. Urlarono, «Vaffanculo. Adesso ti sparo, cazzo.» Erano seri.
«Santo cielo,» Chris disse e poi aggiunse, «Porca troia.»
Dissi, «Già, lo so. Non te l’avevo mai raccontato?» Adesso Chris rideva nervosamente per la storia. Allora il furgone blu davanti a noi svoltò dove io stavo per girare. Furgone di merda. Continuò a rallentare e io dissi a Chris, «Che culo restare dietro a un furgone di merda diretto proprio dove siamo diretti noi.» Misi la freccia per svoltare in una stradina laterale, ma il furgone fece la stessa cosa. La sua luce di stop continuava a lampeggiare. E io guardavo il mio piede che picchiettava sul pedale. «Cazzo,» dissi e sentii la rabbia che mi riempiva come se fosse cibo. Seguimmo il furgone lungo la stradina con cumuli di neve su entrambi i lati. Poi la luce di stop si illuminò di rosso e il furgone si fermò. Completamente. Cazzo. Si fermò. C’erano dei bidoni della spazzatura nello spazietto in cui mi sarei potuto infilare e c’erano anche mucchi di neve. Eravamo bloccati. Sussurrai le mie affermazioni positive. «Calma. Va tutto bene.» Ma ogni volta che lo facevo, il cibo della rabbia mi riempiva ancora di più. Suonai il clacson e poi lo suonai ancora e sentivo il clacson che faceva resistenza contro il palmo della mia mano. Dissi, «Ma che cazzo stai facendo?» Allora lo sportello del furgone si aprì e uscì una grossa donna con pantaloni da tuta. Sventolò le mani come per salutarmi e poi le sventolò ancora. Poi camminò lungo un marciapiede che portava a una casetta. Abbassai il mio finestrino e urlai, «Perché ti sei piazzata in mezzo alla strada?» Dissi a Chris, «E se qualcuno deve andare a casa a cacare?» Ero serio.
La donna continuava ad agitare le mani come per dire, «Va bene. Solo un secondo. Scusate.» Ma poi aprì la porta della casa e gesticolò ancora e scomparve all’interno. Tirai su il finestrino e dissi a Chris, «Che cazzo sta facendo?» Chris mi chiese se non fosse meglio andare in retromarcia. Alzai gli occhi allo specchietto retrovisore ma un pick-up si avvicinò dietro di noi. Chris disse, «Immagino che ora dovremo solo starcene fermi qui.» Dissi, «Vaffanculo» e misi la marcia in folle. Cominciai a inveire sul fatto che i furgoncini dovrebbero essere dichiarati fuorilegge. Erano i veicoli dei serial killer. «Probabilmente quella lì ha dei cadaveri nel retro, in questo momento,» dissi. «Se i furgoncini diventassero illegali, non avremmo più serial killer.»
Chris mi disse che andava tutto bene e di non preoccuparmi e allora vidi il tipo nel pick-up dietro di noi che aspettava pazientemente. Pensai a inveire ancora, ma poi mi tornò in mente quello che mio padre mi diceva sempre quando andavo di fretta: “Se avevi tutta questa fretta, ti saresti dovuto muovere prima.” Chris mi guardò e mi disse che andava tutto bene e che la donna avrebbe fatto subito. «Possiamo aspettare,» disse. Suonai di nuovo il clacson e cominciò a nevicare leggermente. «Ma poi che cazzo sta facendo lì? Chi è che lascia il suo cazzo di veicolo in mezzo alla strada?»
Il nevischio stava cominciando a venire giù più intensamente e batteva contro il parabrezza.
«Dove cazzo è finita?» Allora mi buttai di peso sul clacson facendo risuonare una canzone lunghissima ed estremamente rumorosa. La porta di ingresso della casetta si aprì e la grossa donna uscì e tenne la porta aperta. Suonai la mia canzone del clacson ancora un po’ e poi abbassai il finestrino di nuovo e urlai: «Muovi il culo.» Ma lei non si mosse. Si limitava a guardarmi come a dirmi «Mi dispiace» e «Ti ho sentito, ti ho sentito.»
Tirai nuovamente su il finestrino e dissi, «Che cazzo sta facendo?» Poi vidi la ragione. C’era neve e c’era una strada e c’erano bidoni della spazzatura che sembravano metallici, pieni di ammaccature. C’era Chris e c’ero io e ora c’era qualcun altro. Era una vecchina dietro un deambulatore sull’uscio. Sembrava avere cent’anni e aveva il volto penzolante e infossato e i suoi occhi scheletrici spuntavano come buchi neri all’interno del suo teschio. Aveva tutte queste sciarpe avvolte attorno alla testa e indossava un giaccone enorme. Emerse a passettini lenti dall’ingresso come un pulcino che sta nascendo. Continuò a camminare a passettini lentissimi accanto alla donna in pantaloni da tuta, che si trascinava dietro una sedia a rotelle. Allora la grossa donna chiuse la porta della vecchina a chiave. La vecchina si fermò e aspettò che la donna spiegasse la sedia a rotelle, dopodiché si sedette lentamente e tremante e impaurita. Chris disse, «Aaah, vedi. Non c’era motivo di innervosirsi. È solo una persona che si è fermata per accompagnare una donna anziana dal dottore.»
Così rimasi seduto a guardare e capii quanto fosse meraviglioso tutto ciò. Mi misi a ridere e poi pensai che questa era la storia del mondo. Tutti erano in attesa e andavano di fretta per arrivare da qualche parte. Scossi la testa e infine sorrisi. Dissi ciò che tutti dovremmo dire. Dissi, «Cazzo, quanto sono stupido.» Adesso ero calmo e paziente come il tizio nel pick-up dietro di noi. Osservai la grossa donna spingere la vecchina attraverso la neve e poi fino al punto in cui il furgone era fermo davanti a noi. La vecchina prese il deambulatore che la donna stava mantenendo e si alzò davanti alla sedia a rotelle. La grossa donna ripiegò la sedia e la posò nel furgone. La vecchina ora stava in piedi col deambulatore accanto al furgone e continuava a guardare verso di me e a indicare la mia auto come se stesse dicendo, «È lui? È quello lo stronzo che suonava il clacson?» La grossa donna fece di sì con la testa. Chris sorrise e fece cenni di scusa.
Poi la vecchina mi guardò e alzò il braccio e mi agitò un grandissimo VAFFANCULO col dito medio. Pensai di fare un cenno di scusa o dire che mi dispiaceva, ma invece sorrisi e le mostrai anch’io il dito medio perché capivo cosa stava dicendo. Eravamo tutti vivi, adesso. Stavamo tutti salutando.
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Scott McClanahan è l’autore di The Sarah Book (Tyrant Books, 2017), The Incantations of Daniel Johnston (Two Dollar Radio, 2016), Crapalachia (Two Dollar Radio, 2013), Hill William (Tyrant Books, 2013) e altre opere. Vive in West Virginiaa
Il racconto Road Rage è stato tradotto dal magazine di Tyrant Books: http://magazine.nytyrant.com/road-rage/
“Rabbia stradale”, un racconto di Scott McClanahan